Verso modelli post-capitalistici
Alla
ricerca di modelli alternativi all'ipercapitalismo
per una
società più giusta ed equa!
Contro
la miseria e la schiavitù del modello imperante!
le grandi metamorfosi: Rapeism ovvero
la nuova dimensione globalizzante
Dalla società del
rischio alla società del crimine liquido – Paura e guerre sante.
Nel 1996 Samuel P. Huntington scriveva nel suo saggio “The Clash of
Civilization and the remaking of world order”:
<<Come si spiega una simile rinascita religiosa a livello
mondiale? Ovviamente, esistono fattori specifici operanti in singoli paesi e
civiltà. Sarebbe ingenuo, tuttavia, pensare che tante svariate cause abbiano
prodotto sviluppi uguali e simultanei in buona parte del mondo. Un fenomeno di
dimensioni generali esige una spiegazione generale. Per quanto gli eventi
succedutisi in particolari paesi possano essere stati influenzati da fattori
specifici, non c’è dubbio che debbano esserci state delle motivazioni d’ordine
generale. Quali? La causa più ovvia, saliente e importante è esattamente la
stessa che si pensava spiegasse la morte della religione: i processi di
modernizzazione sociale, economica e culturale divampati nel mondo nella
seconda metà del XX secolo. Sistemi che avevano offerto ai cittadini identità e
autorità sono crollati. Masse di uomini e donne si spostano dalle campagne alle
città, recidono le loro proprie radici e si tuffano in un nuovo lavoro, oppure
restano disoccupati. Interagiscono con una moltitudine di stranieri e
stabiliscono nuovi tipi di rapporti sociali. Necessitano di nuove fonti di
identificazione, nuove e stabili forme di comunanza, nuovi corpi di regole
morali che diano un senso e uno scopo alla loro vita. La religione, sia quella
tradizionale che quella fondamentalista, risponde a tutte queste
necessità.>>[1]
Sul Financial Times del 17 novembre 2015 Gideon Rachman scrive:
<<Ever
since the late Samuel Huntington predicted that international politics would be
dominated by a “clash of civilization”, his theory, first outlined in 1993, has
found some of its keenest adherents among militant Islamists. The terrorists
who inflicted mass murder on Paris are part of a movement that sees Islam and
the west as locked in inevitable mortal combat. Leading western politicians, by
contrast, have almost always rejected Huntington’s analysis. Even former US
President George W. Bush said: “There is no clash of civilization”. And life in
multicultural western nations, most of which have large Muslim minorities,
offers a daily refutation of the idea that different faiths and cultures cannot
live and work together. In the aftermath of the Paris attacks, that core idea
needs to be reaffirmed.>>
Siamo allo scontro di civiltà e di barbarie? Possono convivere
occidentali e non occidentali visti i trascorsi storici?
Di queste religioni e neo terrorismi non avevamo comunque proprio bisogno!
Ma così è se
vi pare…
Questo 2015 non è stato l’anno dell’Expo universale di Milano, no! E’ stato l’anno di
Parigi.
Era infatti un mercoledì di gennaio – il 7 per precisione - in cui
due uomini entrano nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo nel
centro di Parigi e a colpi di Kalashnikov fanno una strage invocando Allah.
E siamo al 13 novembre scorso quando una serie di attentati
terroristici lascia sul campo – nei pub, cinema e discoteche parigine - 129
morti e 352 feriti.
Qualcuno ha parlato di 11 settembre dell’Europa.
E così anche l’Europa – o meglio i singoli stati europei, dato che
anche in questo caso, come in tutti quelli in cui le sfide sono forti e i
problemi profondi, prevale la dimensione nazionalistica - si scopre in “guerra”.
E’ proprio Monsieur Hollande che lunedì 16 novembre a Camere riunite
<<Ha chiesto che l’Unione europea
lo affianchi nella “guerra”, che
renderà visita a Barak Obama e Vladmir Putin per costruire una coalizione in
grado di annientare l’autoproclamato
califfato di Abu Bakr al Baghdadi.>>[2]
Noto che il lessico della politica dei nostri giorni torna ad avere
qualche assonanza con quello di ca.100 anni fa.
Certo allora la guerra era riferita al mondo solido, oggi per dirla con Bauman il mondo è liquido e quindi anche la guerra e la violenza sono
diventate liquide, cioè non più riferibili ad una frontiera, ad un territorio
ben delimitato, con un soldato con tanto di uniforme ben riconoscibile e
individuabile nella trincea nemica. Oggi il nemico può essere in ogni dove e
sorprenderti mentre sorseggi un caffè o danzi in qualche discoteca, o voli su
qualche aereo o viaggi su qualche metro o sei in ufficio a scrivere qualche
articolo.
Tutto può succedere, tutto può essere fonte di paura e non solo nei confronti dell’uomo nero del nuovo
Califfato.
E’ ormai di tutta evidenza come in tre o quattro lustri il lessico
del mondo occidentale - o almeno di quella parte di esso che ha sempre
rappresentato il pensiero dominante delle classi egemoniche e plutocratiche - sia
profondamente cambiato.
Dal lessico che rifletteva l’ottimismo connesso alle nuove opportunità
della globalizzazione, di Eurolandia, del liberismo economico del villaggio
globale e della vittoria del bene su male (il bene, il modello americano e il
male, il modello sovietico), si è passati ad un lessico che riflette i rischi,
le paure, le crisi e le patologie del sistema mondo.
Infatti i termini più usati (ed abusati) di questi ultimi due
decenni sono:
crisi, terrorismo, default, guerra, attentati, barconi, migranti, paura,
barbari, muri, violenza, nemico, rivale, caos, disordine, corruzione, truffa e
via di questo passo.
In effetti forse né gli Americani né gli Europei avrebbero mai immaginato
che un loro parente, un loro figlio o un loro amico, andando al cinema o al bar
o al lavoro potesse essere massacrato e sterminato in un giorno qualunque.
Il sociologo e teorico della società del rischio Ulrich Beck –
recentemente scomparso - scriveva nel lontano
1986:
<<Detto in termini sistematici, prima o poi,
nel continuum del processo di
modernizzazione, le situazioni e i conflitti sociali di una società “distributrice di ricchezza” iniziano
ad intersecarsi con quelli di una società “distributrice
di rischi”. (…) Non viviamo ancora in una società del rischio, ma non
viviamo più soltanto nel quadro dei conflitti distributivi della società della
penuria. Via via che questa transizione si compie, si afferma nei fatti una
trasformazione sociale che ci porta al di fuori delle consuete categorie del
pensare e dell’agire. (…) È vero: i pericoli aumentano, ma non sono tradotti
politicamente in una politica preventiva di gestione dei rischi. Anzi: non è
affatto chiaro che tipo di politica e di istituzioni politiche possano essere
in grado di fare ciò. Senza dubbio si crea una comunanza, invisibile come i
rischi, ma rimane più un desiderio che una realtà. (…) La spinta di fondo della
società classista può essere riassunta in una frase: ho fame! La dinamica messa in movimento con la società del rischio
si esprime invece con la frase: ho paura!
Al posto della comunanza indotta dalla penuria subentra la comunanza indotta
dalla paura. In questo senso le caratteristiche tipiche della società del
rischio mettono in risalto i tratti di un’epoca sociale in cui la solidarietà
della paura nasce e diventa una forza della politica. É però ancora del tutto
da chiarire che effetti abbia la forza di coesione della paura[3].
“Nel continuum del
processo di modernizzazione”… altro che processo di
modernizzazione! Questo può definirsi processo di demolizione e distruzione. D’altronde
cosa potevamo aspettarci dal sistema contradditorio e caotico del mondo post-moderno
iper-capitalista se non uno scenario in cui si passa da un’emergenza all’altra senza soluzione di continuità. Ad inizio del nuovo millennio eravamo in
emergenza terrorismo (effetto 11 settembre 2001), poi siamo passati ad
emergenza crisi finanziaria ed economica, poi ancora all’emergenza euro e
Europa, poi all’emergenza migrazioni e siamo ritornati al punto di partenza:
adesso siamo a combattere il Califfato, l’integralismo terrorista della Jihad e
alla “guerra santa”.
Credo che il prof. Beck abbia colto con molto anticipo, rispetto a
noi comuni mortali, l’essenza dei cambiamenti (metamorfosi) epocali, riferiti principalmente
alle società industrializzate e moderne, che stiamo vivendo.
In questi ultimi anni i rischi potenziali si sono trasformati in
danni certi, in violenza e crimine: mi riferisco ai rischi dell’inquinamento
ambientale, a quelli connessi alle politiche economiche del crescismo (o del
Pil-ismo), al finanz-capitalismo dispensatore di titoli tossici a destra e a
manca, alla corsa continua agli armamenti pubblici e privati, alla divaricazione
spaziale delle disuguaglianze (ecc).
È ancora attuale la frase “Ho
fame!, la fame uccide ancora nel mondo e non solo in quello “in via di
sviluppo”, ma anche in quello sviluppato, però in questo 2015 ha preso il
sopravvento la seconda frase ricordata da Beck “Ho paura!”. E le fonti della paura si stanno moltiplicando a
dismisura in questo labirinto post moderno.
Mi chiedo ancora: chi sta divorando il mondo? Il mondo – questo
labirinto postmoderno - in pasto a chi va? In pasto al mercato, in pasto ai
sacerdoti del capitale e del dio denaro? In pasto ai vecchi e nuovi
fondamentalismi?
Vecchi e nuovi fondamentalismi sempre pronti ad innescare processi
di distruzione creatrice, ma quale creazione giustifica quale distruzione e
quale risultato giustifica quale violenza?
Ci sono violenze derivanti dai crimini comuni e ci sono violenze e
crimini che sono il frutto dell’adozione e dell’applicazione di modelli e
sistemi economici, politici e religiosi.
Quanti sono stati gli stermini e le varie forme di violenza che
hanno caratterizzato la storia dell’homo sapiens? Potremo rispondere che sono
state infinite. Perché? Perché Homo,
homini lupus? Perché Adamo ed Eva sono stati scacciati dal paradiso
terrestre?
Non so, ma una verità è certa: troppa violenza ha caratterizzato la
storia dell’uomo su questo misero pianeta. Se un tempo la potenza della
violenza era strettamente collegata alla forza muscolare, da alcuni secoli la
violenza si avvale delle forme più avanzate che la scienza e la tecnologia
mettono a disposizione.
Leggo nell’articolo “Evoluzione
generale del bene” pubblicato sul Sole 24 ore di domenica 18 ottobre a
firma di Matt Ridley: <<Il bene è qualcosa
che viene lasciato evolvere, il male è qualcosa che si fa: questo è stato il
tema dominante della storia. (…) E’ facile prevedere che il 21mo secolo sarà
dominato pressoché totalmente dagli shock di cattive notizie, ma vedrà un progresso
pressoché invisibile delle buone cose. Cambiamenti incrementali, inesorabili ed
inevitabili ci daranno quei miglioramenti materiali e spirituali che renderanno
la vita dei nostri nipoti più ricca, più sana, più felice, più intelligente,
più pulita, più gentile, più libera, più pacifica e più uguali - quasi
esclusivamente come sotto prodotto fortuito dell’evoluzione culturale. Ma le
persone che hanno grandi piani continueranno a causare dolore e sofferenza.
Smettiamola di dare tanto credito ai “creazionisti sociali”, mentre
incoraggiamo e celebriamo l’evoluzione di tutte le cose.>>
E di “creazionisti sociali”
del dolore e sofferenza in giro ce ne sono sempre tanti, troppi! Ma basteranno
i cambiamenti incrementali, oppure sarà necessario una rivoluzione profonda dei
modelli politici, sociali ed economici?
Mi chiedo ancora:
· non sarà mica che i modelli economici,
politici e religiosi di questi nostri tempi siano ridiventati ancora una volta modelli
della criminalità e dello stupro sistemico?
·
non sarà mica che anche questa volta qualcuno
voglia farla franca con la scusa della distruzione
creatrice?
Forse è venuto il tempo in cui i modelli di modernizzazione e di occidentalizzazione devono cessare di produrre
su larga scala mostri e rischi rispetto ai quali poi ci troviamo costretti continuamente
a fare i conti.
Vedremo!
Ancora una volta saranno i fatti a darci le risposte
sperando che almeno questa volta i fatti non vengano manipolati dalle forze
dominanti.
18 dicembre 2015.
Antonello B.

