La speranza

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domenica 31 agosto 2014

La grande metamorfosi; L'EUROPA VA AL MERCATO!

Verso modelli post-capitalistici

Alla ricerca di modelli alternativi all'ipercapitalismo
per una società più giusta ed equa!

Diagnostica - I fondamentali: Le grandi patologie.

La grande metamorfosi della democrazia: Europa dei popoli versus Europa dei mercati.
Flash ed istantanee dal labirinto post-moderno …

Il “trend to trust” nelle istituzioni europee ha raggiunto il punto di minimo storico (dal 50% al 30% ca. in un decennio). E' un trend di sfiducia che si combina e alimenta con il trend antidemocratico dell'architettura e governance europea.


Fonte: “Standard Eurobarometer 80 – Autumn 2013 – European Commission”


Fonte: “Gli italiani, il nord est e l'Europa - Indagine Demos & Pi per la Repubblica – rapporto ottobre 2013”.

But “Pay attention! These trends could be very dangerous”

-o-

La fiducia si è trasformata in sfiducia e la zoppia1 si è trasformata in grave handicap!
<<UE: CIAMPI, NO A ZOPPIA FRA POLITICA MONETARIA ED ECONOMICA
''ACCELERARE TEMPI PER GOVERNO COORDINATO ECONOMIA PAESI UE''
Pistoia, 16 set. 2002 (Adnkronos) - La politica finanziaria europea, nonostante l'introduzione della moneta unica, resta zoppa. A sottolinearlo é il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che, da Pistoia avverte: ''nel momento stesso in cui si é creato l'euro, si é infatti creata una zoppia tra politica monetaria e politica economica: essendo attribuita la prima alla Banca Centrale Europea e affidata ancora la seconda in notevole misura ai governi nazionali. Questa zoppia, che denunciammo gia' molto tempo addietro - lamenta Ciampi - viene corretta con troppo lentezza''. Il capo dello Stato chiede di ''accelerare i tempi di attuazione di un governo coordinato dell'economia dei Paesi dell'Europa, finalizzato congiuntamente alla stabilita' e alla crescita''.>> (Fonte: Adncronos – 16 settembre 2002)

Perchè adottare una moneta unica senza possedere le necessarie condizioni strutturali per poterla governare? 
Perchè adottare una moneta unica senza un vero e proprio stato e federazione di stati? 
Perchè procedere nella consapevolezza che la zoppia non ci avrebbe fatto correre ma anzi ci avrebbe fatto inciampare con cadute rovinose? La risposta sta nel metodo Monnet.

A questo proposito conviene rileggere quanto ben sintetizzato in un articolo del 2006 della Rivista italiana di geopolitica Limes:

<<Il disegno europeo consentì di neutralizzare il furore autolesionista che dalla fine dell'età bismarckiana aveva fatto regredire il continente da arrogante dominus di un pianeta già in via di prima globalizzazione ad accartocciato comprimario di due superpotenze. Alle èlite che lo pensarono e lo propugnarono va dato atto non solo di lungimiranza nel definirlo, ma anche dell'immaginazione con cui lo perseguirono senza mai poterlo poggiare sull'entusiasmo dei popoli.

E' il merito storico di due generazioni di funzionalisti, da Monnet a Delors, che rimpiazzarono il sogno democratico federalista con un inedito gradualismo prosaico e tecnocratico.
(…) La moneta comune segna l'approdo concettuale e l'esaurimento politico di questo tipo di approccio. Essa era la sublimazione dell'ottica funzionalista, perchè postulava la creazione di un organo tecnico di garanzia e di gestione, la BCE, chiamato ad operare in totale autonomia rispetto alla politica. Ma la valenza unificante della moneta unica stava anche nelle conseguenze che ne sarebbero dovute scaturire. La messa in comune della moneta, assortita dall'imposizione di rigidi vincoli alla spesa pubblica attraverso il Patto di stabilità e di crescita, avrebbe dovuto fatalmente indurre, più o meno a breve, un'armonizzazione delle politiche economiche, non più gestibili dai singoli paesi.2


E' proprio nel quarto periodo di programmazione pluriennale della Ue, quello 2007 – 2013, che il metodo funzionalista o incrementalista dei piccoli passi ha mostrato definitivamente la corda.

Senza una vera unione politica, l'Ue, sottoposta alle forti pressioni e condizionamenti del modello liberistico anglossassone, si è trovata con una struttura istituzionale e legislativa completamente inadeguata, prima per fronteggiare la globalizzazione e poi per non affondare con la crisi finanziaria ed economica stistemica.

Il processo di integrazione europeo doveva funzionare come un treno, con la sua locomotiva di testa (la Germania) e i vari vagoni e tutto avrebbe dovuto scorrere bene, da una tappa all'altra, da una stazione all'altra fino alla meta finale che doveva essere un'integrazione politica ed economica completa.



Ma il treno sembra aver perso le istruzioni di viaggio, la tabella di marcia è caotica e scombinata, la meta non si conosce e le stazioni intermedie segnano grosse battute d'arresto e forzate ripartenze.

Le battute d'arresto sono ad esempio rappresentate dal fallimento del referendum sulla Costituzione Europea a seguito della bocciatura da parte del popolo francese ed olandese (<<Referendum sulla Ue: «Ha vinto il no»I cittadini francesi hanno bocciato la nuova Costituzione europea. Attese ripercussioni in altri Stati. Maroni: si voti anche in Italia – Corriere della Sera del 1 giugno 2006>>.

Mentre le forzate ripartenze - che sono dovute alla reazione alla prima grande crisi sistemica (dal '29), in corso dal 2007/2008 - prendono la forma del nuovo Trattato sulla Stabilità e Crescita, sul Fiscal Compact ed in generale di politiche di austerity.

Le forzate ripartenze vengono poste in essere dalla tecnocrazia per soddisfare i mercati e per dirla con le parole di Habermas:

<<“(...) Al fine di soddisfare <<i mercati>>, i governi concentreranno le necessarie competenze sul piano europeo; nello stesso tempo, però, di fronte ai loro elettorati, stanno cercando di mettere la sordina al vero significato di questo passo integrativo, in quanto neppure nei paesi forti del nucleo europeo possono più contare su una passiva disponibilità all'obbedienza. Secondo questo scenario, noi stiamo percorendo la via postdemocratica di un <<federalismo degli esecutivi>> che si adatta passivamente al mercato, cioè agli imperativi imposti dal sistema finanziario.”

(…) la strategia neoliberale dà sempre la precedenza alla soddisfazione degli interessi di valorizzazione del capitale rispetto alle rivendicazioni di giustizia sociale, e può ormai soltanto <<rinviare>> le crisi, pagando il prezzo di crescenti proteste sociali.

(…) Da questo circolo vizioso i singoli governi non possono uscire semplicemente aumentando il prelievo fiscale, perchè così spaventerebbero gli investitori e metterebbero a rischio i versamenti di tasse che ancora tengono in vita il sistema finanziario (come in Inghilterra) o l'economia reale generante valore (come in quasi tutti gli altri paesi europei)”>>3

Corriamo, sull'onda della crisi, a impostare i vari “meccanismi”4 per costruire l'architettura europea che dovrebbe essere in grado di reggere agli urti e scossoni dei mercati e garantire un equilibrio sostenibile della UEM, ma sono molti i difetti in questa “corsa”, dopo la lost decade, o forse è più preciso parlare di un ventennio perso, in cui si è assistito allo “smarrimento dei fini” o ancora meglio alla sostituzione dei fini con i mezzi funzionali a garantire la fiducia dei mercati globali iperfinaziarizzati.

Crisi finanziaria, crisi delle banche, crisi del debito sovrano, crisi dell'euro hanno costituito il combustibile per un ulteriore allontanamento dal modello sociale e solidaristico europeo che esisteva almeno nelle intenzioni o era scritto sulla carta.

La reazione è stata quella dei bail-out, dei bail-in delle politiche di austerità secondo i dettami della Ue2: << La Ue2, che governa l'Europa di fatto, è composta dal cancelliere tedesco e dal presidente francese (al momento Angela Merkel e Francois Hollande), da uno o due leader nazionali e dai vertici della Banca centrale europea (BCE) e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI).>>5

E così oggi siamo qui a chiederci:
  • l'Europa ha perso l'anima? Qual è la sua anima e il suo scopo?
  • la crisi europea è solo una questione monetaria?
  • esiste o può esistere una democrazia europea?
  • esiste un'Europa dei popoli o solo un'Europa della competizione e del libero scambio?
  • qual è il futuro dell'Europa? Unione di stati o Mercato Unico?

Sono queste alcune delle domande che restano oggi ancora senza risposte adeguate e coerenti.

L'Europa andava bene fino a quando era una “comunità di guadagno”. Si sa che quando le cose vanno bene, allora tutti se ne approfittano (cfr. la diminuzione dei tassi di interesse sui finanziamenti in euro rispetto a quelli applicati sulle valute nazionali precedenti, si contraggono debiti su debiti, si fanno spese pazze), mentre quando le cose “cambiano di segno” allora i difetti strutturali, i vizi e le debolezze diventano grosse palle al piede, veri e propri macigni in grado di mandare tutto a gambe all'aria e di difetti e debolezze l'architettura europea era ed è tuttora infarcita.

Ormai è pleonastico ribadire che non possiamo più considerare l'Europa come un'entità distante dalle nostre case e dal nostro modo di vivere quotidiano: volenti o nolenti dal destino dell'Europa dipende il nostro futuro e non facciamoci ingannare dalle esternazioni di qualche populista o buffone di turno e da chi crede che si possa ritornare ai nazionalismi del passato, asserragliandoci all'interno delle frontiere nazionali.

Abbiamo forse dimenticato la storia del novecento?

Oggi, però, l'Europa è affetta da patologie molto gravi, appare più come una gabbia o un labirinto governato da tecnocrati che ci inondano di nuovi termini, parametrizzazioni economico-finanziario-contabili e raccomandazioni che, nonostante l'ermetismo della terminologia e degli acronimi utilizzati, sanno di vera e propria condanna per i paesi P.I.I.G.S. (i paesi principalmente del Sud) e di esercizio di forza e superiorità per i paesi “virtuosi” (principalmente i paesi del Nord).

E poi ti spiegano che, a causa del fatto che siamo stati irresponsabili nella gestione del debito pubblico (nel caso italiano non ci sono dubbi sulle gravi responsabilità degli sperperi prodotti dai governi e dalle istituzioni pubbliche e private degli ultimi 30 - 40 anni), dobbiamo rinunciare alle pensioni, alla sanità pubblica e che bisogna tagliare tutto per consentire al bilancio pubblico di chiudere con un avanzo primario per soddisfare i creditori.

Che cosa resta del disegno dei padri fondatori? Solo pragmatismo ed egoismi nazionali?

Forse i padri fondatori non avrebbero mai immaginato che ca. 70 dopo la fine della “guerra civile europea (1914-1945) il “The Economist” rappresentasse nel suo ultimo numero l'Europa e la sua leadership così6:

E' La grande metamorfosi dell'Europa: da treno a barchetta?


31 agosto 2014

Antonello B.

(continua)


1Fonte: POLITICA E LESSICO La «zoppìa» europea:

Nel vocabolario è entrata nel ' 63. Nel lessico politico quando Ciampi era Governatore di Bankitalia e poi ministro del Tesoro. La parola zoppìa - che ieri il capo dello Stato ha utilizzato per sottolineare la scarsa armonia tra politica monetaria e politica economica in Europa - in ambito veterinario significa «infermità, condizione di un animale zoppo». In altre parole, una patologia dell' apparato locomotore. Proprio come quello, attuale, nell' area euro: poca coordinazione tra Banca centrale europea e governi nazionali. (17 settembre 2002) - Corriere della Sera.
2“L'euronucleo possibile – di Norma Polluce – Fascicolo monografico di Limes 1/2006 “L'Europa è un bluff”.
3Fonte: “Nella spirale tecnocratica – un'arringa per la solidarietà europea – Ed. Laterza - 2014
4“Meccanismo europea di stabilità”, “Meccanismo unico di vigilanza”, “Meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie”, ecc...
5“Potente e turbolenta – Quale futuro per l'Europa?” - Anthony Giddens – Il Saggiatore 2014

6 The euro zone That sinking feeling (again) If Germany, France and Italy cannot find a way to refloat Europe’s economy, the euro may yet be doomed. The Economist Aug 30th 2014

sabato 16 agosto 2014

La "DEMOCRAZIA VA AL MERCATO"

Verso modelli post-capitalistici

Alla ricerca di modelli alternativi all'ipercapitalismo
per una società più giusta ed equa!

Diagnostica - I fondamentali: Le grandi patologie.

La grande metamorfosi: la “democrazia va al mercato”.


Flash ed istantanee dal labirinto post-moderno …

(Corriere della Sera del 8 agosto2014).


(La repubblica del 14 agosto 2014)

<<(…) But there is one further area which has acquired, if anything, even greater importance during the crisis, which is the area of structural reforms. And that’s where I said several times that it’s probably high time now to start sharing sovereignty in that area as well, taking the structural reforms area in the marketplace, product reforms, Single Market legislation, implementation and labour market reforms, under common union discipline – in other words, trying to replicate our success in the budgetary area also in the structural reforms.
Question: We had some really bad news on Italian GDP yesterday, which has led to questions whether Renzi is going to be able to fulfil his reform agenda. And more broadly than that, we’re seeing very weak growth, even in countries that have implemented structural reform. We’re not seeing growth really at a rate that’s going to cut into very, very high unemployment. As you’ve just said, you’ve mentioned a lot of times that we should see more integration, more centralisation on structural reform. But given that we haven’t got that yet, how politically feasible is it that we’re going to see these structural reforms when the short-term gains just are going to be pretty non-existent and unemployment is going to remain, it seems, very high if growth remains this weak.
(…)Now, we have to distinguish between countries that have done reforms and countries that have done nothing or have done very little reforms. You mentioned Germany. In the case of Germany, the slowdown, we have, first of all, to assess the full impact of these what I call technical factors. And we will be able to do so in the coming days, namely less working days for this.
But it’s quite clear that if the geopolitical risks materialize, it’s quite clear that the next two quarters will show lower growth. A completely different story is for countries that haven’t done reforms or have done very little of them, where you’ve been observing this weakness now for quarter after quarter. And that’s where -- you mentioned public investment, that’s what I meant by growth-friendly fiscal consolidation. These countries have to do a growth-friendly fiscal consolidation, meaning fewer taxes. We are talking about a part of the world where taxation is the highest.
And these countries have the highest taxation in the highest taxation part of the of the world. So lower taxes, lower current expenditure, and possibly higher government investment, government investment expenditure, public investment expenditure.
But all this is possible only if the better conditions are complemented by structural reforms. I think I made this example last time when I said TLTROs offers very good financing conditions to banks, but again, if one can’t open a new business shop, there’s no point in given in more credit. You won’t know what to do with this.
Same thing with taxation. You lower taxes. Certainly people would welcome this very much, but if they cannot actually translate these lower taxes into better business, it’s pointless to do so.>>1

E' pleonastico dire che le condizioni di vita degli abitanti del labirinto postmoderno, oltre che dipendere dal livello di ineguaglianza, dalle condizioni di precarietà del lavoro, dalle condizioni di incertezza e di paura diffuse, dipendono anche, ed in particolare modo, dallo stato di salute delle istituzioni pubbliche democraticamente elette e rappresentative dei cittadini.

Se gli stati non fanno le riforme, sovranità all'Europa”: sono questi i ruggiti ed i messaggi che vengono reiterati nel nostro labirinto postmoderno.

Riforme strutturali” è la parola magica. Chissà come sarà il nostro labirinto quando le tanto declamate riforme strutturali saranno state realizzate ed avranno prodotto i loro mirabolanti effetti.

Avremo:
  • più benessere?
  • più libertà?
  • meno disoccupazione?
  • meno carrette del mare e affogati nel Mare Nostrum?
  • più redistribuzione del reddito?
  • meno ingiustizie?
  • minore evasione fiscale?
  • migliori servizi pubblici?
  • minore delinquenza dei “colletti sporchi” e di quelli “bianchi”?
  • minori catastrofi ambientali?
  • più democrazia?
Forse pretendiamo troppo da queste riforme strutturali, forse dovremmo accontentaci di molto meno, almeno noi che siamo il 99% degli umani del labirinto.

Ma mentre si realizzano o annunciano le riforme strutturali, la democrazia e le sue istituzioni sono entrate da tempo in un profondo processo di metamorfosi:

  • la democrazia sta diventando mercantilista e plutocratica?
  • la democrazia “va al mercato”?

La democrazia è forse malata per essere sottoposta a tali interventi? La democrazia ha forse bisogno di essere de-democratizzata?

La democrazia ha forse indossato i vestiti della post-modernità e del “mondo liquido”, nel senso che ha forse perso quelle identità e valori che hanno caratterizzato la storia della seconda metà del xx° secolo?

La democrazia può ancora dare risposte a queste domande:

  • Chi decide per il nostro presente ed il nostro futuro?
  • Chi decide cosa dobbiamo e possiamo fare?
  • Chi decide cosa dobbiamo produrre e come?
  • Chi decide cosa dobbiamo consumare?
  • Chi decide la tecnologia da adottare?
  • Chi decide cosa importare o esportare?
  • Chi decide quale assetto giuridico dare alle istituzioni?
  • Chi decide dove creare i paradisi fiscali per gli evasori?
  • Chi decide la produzione di armi?
  • Chi decide a quale religione votarci?
  • Chi decide gli accordi commerciali internazionali?
  • Chi decide sul movimento internazionale dei capitali?
  • Chi decide di far fallire le nazioni?
  • Chi decide quali riforme adottare?
  • Chi decide sui rapporti intergenerazionali?
  • Chi decide che cosa.....?

Sono domande banali, ma provate a dare risposte sensate e realistiche e vi accorgerete che molte delle scelte che vengono fatte non hanno proprio nulla da spartire con la democrazia.

Al di là delle personali opinioni che ciascuno di noi può avere, quello che conta veramente è capire perché il potere, di chi gestisce le risposte a queste ed a molte altre domande che qui ho tralasciato, tende a staccarsi, ad essere autonomo ed autoreferenziale rispetto alle istituzioni che si definiscono e vengono generalmente riconosciute come democratiche.

Una delle “7 sfere di attività”2 che David Harvey considera fondamentali nell'ambito della traiettoria evolutiva del capitalismo è rappresentata dagli “ordinamenti istituzionali e amministrativi” ed è in questa sfera che rientra l'assetto delle istituzioni democratiche di un sistema politico.

Secondo Harvey: <<Le “sfere di attività” vengono rimodellate senza sosta dai complessi flussi di influenza che intercorrono tra l'una e l'altra. Tali relazioni non sono necessariamente armoniose.>>

Abbiamo detto (vedi precedenti post) che le grandi patologie hanno modificato profondamente l'interazione tra queste “sfere di attività”, in particolare come le “concezioni mentali del mondo”, coalizzandosi con le “tecnologie e forme organizzative”, si siano trasformate in dogmi della “religione neoliberista del dio mercato” e condizionino tutte le altre sfere, costringendoci a vivere nel labirinto iper-capitalistico globalizzato.

Nel saggio “Contro la dittatura del presente” Gustavo Zagrebelsky scrive:

<<(...)Al di là delle definizioni la democrazia è prima di tutto una, tra le altre, forma della politica e la politica è la sostanza della democrazia. Se manca la sostanza, la forma è vuota di contenuto. La democrazia senza sostanza è, allora, solo una messinscena o, con parola forse più chiara, una farsa dietro alla quale c'è un retroscena, dove si svolge il dramma politico effettivo. (…) Paralisi della rappresentanza, congelamento della competizione politica, perdita di significatività delle promesse e dei programmi elettorali, condivisione e larghe intese, predominio del governo nella sua versione tecnica ed esecutiva di volontà altrui e sovrastanti: tutto ciò è quanto può riassumersi nell'espressione, ormai d'uso corrente, di “postdemocrazia”, parola che può assumersi nel significato di “divieto di discorso sui fini”.>>3

Nell'età della postdemocrazia il discorso sui fini viene fatto nell'ambito di strutture oligarchico-tecnocratiche; sono quelle che dettano le raccomandazioni e le riforme.

Nel quadro più ampio dei processi di trasformazione sociale, le nuove forme di accumulazione iper-capitalistica contribuiscono a modificare profondamente la struttura ed i contenuti della democrazia.

Per usare la terminologia proposta da Ilvo Diamanti, la democrazia rappresentativa dei paesi occidentali ha subito diversi processi di mutazione:
da democrazia dei partiti, democrazia del pubblico e dei pubblici, democrazia diretta, e-democracy a “democrazia ibrida”:

<<(…) La democrazia ibrida che stiamo attraversando, dunque, denuncia la crisi della democrazia rappresentativa, apertamente sfidata dalla democrazia diretta. E propone una miscela di elementi vecchi e nuovi, che si combinano a fatica e continuano a mutare, in modo fluido. Di conseguenza, diventa difficile capire e vedere quel che succederà domani. (…) Così ci scopriamo sospesi tra passato e futuro. Senza mappe e senza bussole, che ci permettano di orientarci, Sempre in ritardo e sempre in anticipo rispetto a scenari che non riusciamo a disegnare, tanto meno a prefigurare. La post-democrazia tende, quindi, a diventare in-finita. Senza fine. E rischia anch'essa di invecchiare. Insieme a noi.>>4

Chissà se Arianna riuscirà a fornire abbastanza filo alla democrazia per ritrovare la strada e la via giusta per riportarci fuori dal labirinto o se, invece, perchè talmente malata, manipolata e plagiata, la democrazia finirà per essere venduta, da qualche populista, o comprata, da qualche plutocrate, per 3 soldi, in qualche mercatino del villaggio globale?

Speriano che la democrazia non vada a morire come l'”Agnese”!
(continua...)

Antonello B.

16 agosto 2014

1 Introductory statement to the press conference (with Q&A) Mario Draghi, President of the ECB,Frankfurt am Main, 7 August 2014.
2 David Harvey, nella sua “teoria coevolutiva del cambiamento sociale”, considera sette sfere di attità;:oltre a quella citata rappresentata dagli “ordinamenti istituzionali e ammninistrativi” abbiamo quella delle “tecnologie e forme organizzative”, dei “rapporti sociali”, della “produzione e processi lavorativi”; dei “rapporti con la natura”; della “riproduzione della vita quotidiana e dalla specie” e quella delle “concezioni mentali del mondo”. (Fonte: David Harvey - “L'enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza” - Feltrinelli - 2011)
3 “Contro la dittatura del presente – Perchè è necessario un discorso sui fini” – Gustavo Zagrebelsky – Editori Laterza – La Repubblica – 2014.
4 “Democrazia ibrida” - Ilvo Diamanti – Editori Laterza – La Repubblica – 2014.