Verso modelli post-capitalistici
Alla ricerca di modelli alternativi
all'ipercapitalismo per una società più giusta ed equa
Diagnostica - I fondamentali: le grandi patologie: LA PRECARIETA’.
Da “Società Opulenta” a “ Società
liquida”: fine della società?
All’inizio di questo percorso verso
nuovi modelli alternativi all’ ipercapitalismo contemporaneo, immersi in questo
contesto caotico che assomiglia molto, a seconda dei punti di vista ad un labirinto,
ad una gabbia di acciaio oppure ad
una tela di ragno, mi sono imbattuto
in quella che ho definito la prima
grande patologia delle società attuale e cioè la Diseguaglianza tra la base e il vertice della piramide sociale e la
sua dinamica degenerativa[1].
…. ma la corsa verso la crescita della disuguaglianza non si arresta
e mentre c’è chi, in questi giorni ad
esempio in Italia - per effetto delle nuove manovre annunciate di spending review - minaccia di dimettersi
e di andare allestero se subirà una riduzione dello stipendio (attualmente
supera gli 800.000 euro), c’è anche chi va in scena come protagonista delle nuove
(o vecchie) via-crucis…
…che siano donne sacrificate alla prostituzione:
“Prostituzione, la via Crucis delle donne contro la tratta -Atlete, magistrati donne,
parlamentari, suore e giornaliste. Sono le protagoniste del corteo-via Crucis contro la tratta che ha
sfilato a Roma da piazza Santi Apostoli a via della Conciliazione” (http://roma.repubblica.it/cronaca/2014/03/21/news/prostituzione_la_via_crucis_delle_donne_contro_la_tratta-81576122/)
…o che siano altri uomini che
provano a sbarcare in questi giorni sulle coste della Sicilia:
“CANALE
DI SICILIA:Ondata di sbarchi, tredici barconi in mare: soccorsi 1500 migranti
Marina e Guardia costiera intervengono nel Canale di Sicilia, aiutate da alcuni pescherecci. Nella mattinata di martedì salvati già seicento migranti (cfr: http://www.corriere.it/cronache/14_marzo_18/tredici-barconi-mare-soccorsi-1200-migranti)
… e le immagini valgono più di
mille parole, ma né le immagini, né le parole bruciano quanto l’esperienza reale di essere ai
margini, di sentirsi esclusi, sfruttati, maltrattati, nuovi schiavi, miserabili o precari.
Ed è proprio la Precarietà e l’incertezza economica l’altra
grande patologia di quelle che un tempo erano definite le società opulente[2].
La precarietà è al tempo stesso causa ed effetto della disuguaglianza:
chi è precario non ha i mezzi e se non ha i mezzi è meno uguale o sarà di più
disuguale.
Trattando il tema
della precarietà Guy Standing afferma:
“Il precariato
globale ci sta suonando la sveglia. Il mondo là fuori è percorso dalla paura e
dalla collera (…) Il contesto in cui il precariato va da tempo crescendo è
quello di una globalizzazione che con la crisi finanziaria del 2008 ha mostrato
il suo vero volto. Troppo a lungo rinviato, il riequilibrio globale spinge
verso il basso i paesi ad alto reddito nel medesimo momento in cui alza i
livelli di reddito dei paesi poveri. A meno che non venga posto rimedio alle
disuguaglianze che da almeno due decenni la maggioranza dei governi colpevolmente
trascura, il disagio e le ripercussioni ad esso collegate potrebbero diventare
esplosivi.”[3]
Ma come si è
arrivati a questo punto?
Quali sono stati i fattori che hanno determinato la patologia
della Nuova Precarietà’?
Per quelli della mia generazione,
è forte la percezione del passaggio (frattura) da quella che John Kenneth Galbraith definiva la “Società Opulenta”[4]
alla “Modernità Liquida”[5],
teorizzata da Bauman, e per non dire alla “Fine della società” secondo il pensiero di
Alain Touraine[6].
Dal confronto tra quello che scriveva l’economista Galbraith
negli anni ‘50 e quello che ha scritto agli inizi del XXI^ secolo il sociologo
Bauman si possono individuare alcuni dei fattori strutturali di questa profonda
trasformazione del mondo economico e lavorativo nelle società “sviluppate”.
Galbraith, nel libro La Società Opulenta al capitolo sulla
diseguaglianza, scriveva:
“Per il momento (n.d.r.
eravamo alla fine degli anni ’50 del secolo scorso) ci basta sottolineare
che il problema dell’uguaglianza, nel suo valore sociale ed economico, ha
perduto molto della sua urgenza, e questo fatto non ha mancato di aver i suoi
riflessi nella mentalità convenzionale. Il fenomeno del declino dell’interesse
per un tale problema è dovuto a varie ragioni, che sono tutte, però, in un modo
o nell’altro, in rapporto con il fatto dell’incremento
della produzione, il quale ha finito per eliminare i motivi più acuti di
attrito dovuti all’ineguaglianza. E’ apparso ormai evidente ai conservatori
e anche ai liberali, che l’aumento della produzione collettiva si pone come
un’alternativa alla redistribuzione del reddito o anche alla riduzione dell’ineguaglianza.
Il più antico e tormentato dei contrasti sociali, se non è stato risolto, è
stato perlomeno accantonato, mentre coloro che vi erano un tempo coinvolti
hanno concentrato la loro attenzione sull’aumento della produttività. Naturalmente
questo è un cambiamento di grande portata. Il nostro accresciuto interesse per
la produzione, oggidì, sarebbe già un fatto notevole in sé stesso; esso
acquista inoltre un particolare valore se si pensa che ha sostituito il vecchio
conflitto esistente fra coloro che litigavano su chi doveva avere di più e chi
doveva avere di meno” (La società Opulenta – 1958).
Mentre Bauman nel libro Modenità
Liquida afferma:
“Il fatto che l’azienda
capitalista fosse al contempo anche un semenzaio di conflitti e scontri non
deve trarci in inganno: non c’è dèfiance senza confiance, non c’è conflittualità
senza fiducia. Se i dipendenti combattevano per i loro diritti, era perché avevano
fiducia nella solidità della cornice
strutturale entro la quale speravano e desideravano veder riconosciute le
proprie rivendicazioni; vedevano nell’azienda il posto giusto cui affidare la
salvaguardia dei loro diritti.
Oggi tutto ciò non è più vero, o quanto meno sempre meno vero. Nessun individuo razionale conterebbe
sul fatto di trascorrere l’intera vita lavorativa, o quanto meno la maggior parte
di essa, in un’unica azienda. (…) ma fare proiezioni future è qualcosa di
difficilmente realizzabile in persone che non hanno alcun controllo sul proprio
presente. (…) La precarietà è il
tratto distintivo della condizione preliminare di tutto il resto: la
qualità di vita, e in particolare quella derivante dal lavoro e dall’occupazione.
Tale condizione è già diventata estremamente fragile e continua di anno in anno
a farsi sempre più instabile e inaffidabile. (…) Nasce il fondato sospetto che, per quanto rassicuranti siano le facce
mostrate dai politici e per quanto sincere possano sembrare le loro promesse, la
disoccupazione nei paesi ricchi sia
diventata un fenomeno <<strutturale>>: per ciascun nuovo posto di
lavoro creato molti altri sono spariti, e la verità pura e semplice è che non c’è
abbastanza lavoro per tutti. E il progresso tecnologico – al pari dello stesso
processo di razionalizzazione del lavoro – tende a creare sempre meno, non più,
posti di lavoro.”(Modernità Liquida - Z. Bauman)
Il meccanismo che all’epoca di
Galbraith limitava la disuguaglianza e la precarietà era rappresentato principalmente
dalla crescita della produzione fatta attraverso le aziende “solide” e radicate
su un dato territorio:
- la caduta della produzione (vedi ad esempio produzione dei paesi PIIGS dal 2008 in poi),
- la delocalizzazione produttiva,
- l’automazione,
- la forte competizione su scala globale dei nuovi paesi emergenti
- le nuove modalità di produzione “liquida” su scala globale (global supply chain),
Il meccanismo della produzione o crescita del P.I.L., come è evidente, non ha funzionato come meccanismo riequilibratore e
la situazione, cinquant’anni dopo si presenta con una cornice strutturale (labirinto, gabbia o tela di ragno) profondamente cambiata!
[1] Per
dirla anche con le parole di Raghuram G.
Rajan: “Esistono profonde linee di
faglia nell’economia globale, che si sono formate perché, in un’economia e in un mondo
integrati, ciò che è meglio per il soggetto o l’istituzione individuale non
sempre è meglio per il sistema. (…) Il più importante esempio di linea di
faglia del primo tipo (…), è costituito dalla crescente disuguaglianza dei
redditi (…)”. (Terremoti Finanziari - Come le fratture nascoste minacciano ancora
l’economia globale R.G. Rajban – Einaudi
2012.
[2]
Qui mi riferisco
essenzialmente alla precarietà come viene definita su Wikipedia: “Il termine,
nell'utilizzo comune, denota la presenza di due fattori principali: a)mancanza
di continuità del rapporto di lavoro e di certezza
sul futuro; b) mancanza di un reddito e di
condizioni di lavoro adeguate su cui poter contare per la pianificazione della
propria vita presente e futura.”
[3] Precari -
La nuova classe esplosiva – Guy Standing – 2012 – Bologna.
[4] The Affluent Society – John Kennet Galbraith – Boston 1958.
[5] Liquid Modernity – Zygmunt Bauman
– Cambridge 2000.
[6]
Alain Touraine parla
addirittura di post società nel senso che “Nous sommes, depuis la crise
financière, confrontés à cette évidence: avec la décomposition du capitalisme
industriel, toutes les institutions sociales, la famille, l’école, la ville,
les systèmes de protection et de contrôle social, l’entreprise, la politique
elle-même perdent leur sens. (La fin des sociétés – Alain Touraine – 2013)



