La speranza

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sabato 22 marzo 2014

Verso modelli post-capitalistici
Alla ricerca di modelli alternativi all'ipercapitalismo per una società più giusta ed equa

Diagnostica -  I fondamentali: le grandi patologie: LA PRECARIETA’.

Da “Società Opulenta” a “ Società liquida”:   fine della società?

All’inizio di questo percorso verso nuovi modelli alternativi all’ ipercapitalismo contemporaneo, immersi in questo contesto caotico che assomiglia molto, a seconda dei punti di vista  ad un labirinto, ad una gabbia di acciaio oppure ad una tela di ragno, mi sono imbattuto in quella che ho definito la prima grande patologia delle società attuale e cioè la Diseguaglianza tra la base e il vertice della piramide sociale e la sua dinamica degenerativa[1].

…. ma la corsa verso la crescita della disuguaglianza non si arresta e mentre c’è chi, in  questi giorni ad esempio in Italia - per effetto delle nuove manovre annunciate di spending review - minaccia di dimettersi e di andare allestero se subirà una riduzione dello stipendio (attualmente supera gli 800.000 euro), c’è anche chi va in scena come protagonista delle nuove (o vecchie) via-crucis…
…che siano donne sacrificate alla prostituzione: 
 “Prostituzione, la via Crucis delle donne contro la tratta -Atlete, magistrati donne, parlamentari, suore e giornaliste. Sono le protagoniste del corteo-via Crucis contro la tratta che ha sfilato a Roma da piazza Santi Apostoli a via della Conciliazione” (http://roma.repubblica.it/cronaca/2014/03/21/news/prostituzione_la_via_crucis_delle_donne_contro_la_tratta-81576122/)


…o che siano altri uomini che provano a sbarcare in questi giorni sulle coste della Sicilia:
CANALE DI SICILIA:Ondata di sbarchi, tredici barconi in mare: soccorsi 1500 migranti

Marina e Guardia costiera intervengono nel Canale di Sicilia, aiutate da alcuni pescherecci. Nella mattinata di martedì salvati già seicento migranti (cfr: http://www.corriere.it/cronache/14_marzo_18/tredici-barconi-mare-soccorsi-1200-migranti)


… e le immagini valgono più di mille parole, ma né le immagini, né le parole bruciano quanto l’esperienza reale di essere ai margini, di sentirsi esclusi, sfruttati, maltrattati, nuovi schiavi,  miserabili o precari.

Ed è proprio la Precarietà e l’incertezza economica l’altra grande patologia di quelle che un tempo erano definite le società opulente[2].


La precarietà è al tempo stesso causa ed effetto della disuguaglianza: chi è precario non ha i mezzi e se non ha i mezzi è meno uguale o sarà di più disuguale.

  
Trattando il tema della precarietà Guy Standing afferma:
“Il precariato globale ci sta suonando la sveglia. Il mondo là fuori è percorso dalla paura e dalla collera (…) Il contesto in cui il precariato va da tempo crescendo è quello di una globalizzazione che con la crisi finanziaria del 2008 ha mostrato il suo vero volto. Troppo a lungo rinviato, il riequilibrio globale spinge verso il basso i paesi ad alto reddito nel medesimo momento in cui alza i livelli di reddito dei paesi poveri. A meno che non venga posto rimedio alle disuguaglianze che da almeno due decenni la maggioranza dei governi colpevolmente trascura, il disagio e le ripercussioni ad esso collegate potrebbero diventare esplosivi.[3]

Ma come si è arrivati a questo punto? 
Quali sono stati i fattori che hanno determinato la patologia della Nuova Precarietà’?

Per quelli della mia generazione, è forte la percezione  del passaggio (frattura) da quella che John Kenneth Galbraith definiva la “Società Opulenta”[4] alla “Modernità Liquida”[5], teorizzata da Bauman, e per non dire alla  “Fine della società” secondo il pensiero di Alain Touraine[6].

Dal confronto  tra quello che scriveva l’economista Galbraith negli anni ‘50 e quello che ha scritto agli inizi del XXI^ secolo il sociologo Bauman si possono individuare alcuni dei fattori strutturali di questa profonda trasformazione del mondo economico e lavorativo nelle società “sviluppate”.


Galbraith, nel libro La Società Opulenta al capitolo sulla diseguaglianza, scriveva:

“Per il momento (n.d.r. eravamo alla fine degli anni ’50 del secolo scorso) ci basta sottolineare che il problema dell’uguaglianza, nel suo valore sociale ed economico, ha perduto molto della sua urgenza, e questo fatto non ha mancato di aver i suoi riflessi nella mentalità convenzionale. Il fenomeno del declino dell’interesse per un tale problema è dovuto a varie ragioni, che sono tutte, però, in un modo o nell’altro, in rapporto con il fatto dell’incremento della produzione, il quale ha finito per eliminare i motivi più acuti di attrito dovuti all’ineguaglianza. E’ apparso ormai evidente ai conservatori e anche ai liberali, che l’aumento della produzione collettiva si pone come un’alternativa alla redistribuzione del reddito o anche alla riduzione dell’ineguaglianza. Il più antico e tormentato dei contrasti sociali, se non è stato risolto, è stato perlomeno accantonato, mentre coloro che vi erano un tempo coinvolti hanno concentrato la loro attenzione sull’aumento della produttività. Naturalmente questo è un cambiamento di grande portata. Il nostro accresciuto interesse per la produzione, oggidì, sarebbe già un fatto notevole in sé stesso; esso acquista inoltre un particolare valore se si pensa che ha sostituito il vecchio conflitto esistente fra coloro che litigavano su chi doveva avere di più e chi doveva avere di meno” (La società Opulenta – 1958).

Mentre Bauman nel libro Modenità Liquida afferma:

“Il fatto che l’azienda capitalista fosse al contempo anche un semenzaio di conflitti e scontri non deve trarci in inganno: non c’è dèfiance senza confiance, non c’è conflittualità senza fiducia. Se i dipendenti combattevano per i loro diritti, era perché avevano fiducia nella solidità della cornice strutturale entro la quale speravano e desideravano veder riconosciute le proprie rivendicazioni; vedevano nell’azienda il posto giusto cui affidare la salvaguardia dei loro diritti.
Oggi tutto ciò non è più vero, o quanto meno sempre meno vero. Nessun individuo razionale conterebbe sul fatto di trascorrere l’intera vita lavorativa, o quanto meno la maggior parte di essa, in un’unica azienda. (…) ma fare proiezioni future è qualcosa di difficilmente realizzabile in persone che non hanno alcun controllo sul proprio presente.  (…) La precarietà è il tratto distintivo della condizione preliminare di tutto il resto: la qualità di vita, e in particolare quella derivante dal lavoro e dall’occupazione. Tale condizione è già diventata estremamente fragile e continua di anno in anno a farsi sempre più instabile e inaffidabile. (…) Nasce il fondato sospetto  che, per quanto rassicuranti siano le facce mostrate dai politici e per quanto sincere possano sembrare le loro promesse, la disoccupazione  nei paesi ricchi sia diventata un fenomeno <<strutturale>>: per ciascun nuovo posto di lavoro creato molti altri sono spariti, e la verità pura e semplice è che non c’è abbastanza lavoro per tutti. E il progresso tecnologico – al pari dello stesso processo di razionalizzazione del lavoro – tende a creare sempre meno, non più, posti di lavoro.”(Modernità Liquida - Z. Bauman)

Il meccanismo che all’epoca di Galbraith limitava la disuguaglianza e la precarietà era rappresentato principalmente dalla crescita della produzione fatta attraverso le aziende “solide” e radicate su un dato territorio: 
  • la caduta della produzione (vedi ad esempio produzione dei paesi PIIGS dal 2008 in poi), 
  • la delocalizzazione produttiva,
  • l’automazione, 
  • la forte competizione su scala globale dei nuovi paesi emergenti
  • le nuove modalità di produzione “liquida”  su scala globale (global supply chain),
hanno finito per rompere l’incantesimo che la crescita infinita avrebbe garantito benessere, stabilità ed equità.

Il meccanismo della produzione o crescita del P.I.L., come è evidente, non ha funzionato come meccanismo riequilibratore e la situazione, cinquant’anni dopo si presenta con una cornice strutturale (labirinto, gabbia o tela di ragno) profondamente cambiata!

Antonello B.



[1] Per dirla anche con le parole di  Raghuram G. Rajan:  “Esistono profonde linee di faglia nell’economia globale, che si sono formate  perché, in un’economia e in un mondo integrati, ciò che è meglio per il soggetto o l’istituzione individuale non sempre è meglio per il sistema. (…) Il più importante esempio di linea di faglia del primo tipo (…), è costituito dalla crescente disuguaglianza dei redditi (…)”. (Terremoti Finanziari  - Come le fratture nascoste minacciano ancora l’economia globale R.G. Rajban  – Einaudi 2012.
[2] Qui mi riferisco essenzialmente alla precarietà come viene definita su Wikipedia: “Il termine, nell'utilizzo comune, denota la presenza di due fattori principali: a)mancanza di continuità del rapporto di lavoro e di certezza sul futuro; b) mancanza di un reddito e di condizioni di lavoro adeguate su cui poter contare per la pianificazione della propria vita presente e futura.”
[3] Precari - La nuova classe esplosiva – Guy Standing – 2012 – Bologna.
[4] The Affluent  Society – John Kennet Galbraith – Boston 1958.
[5] Liquid Modernity – Zygmunt Bauman – Cambridge 2000.
[6] Alain Touraine parla addirittura di post società nel senso che “Nous sommes, depuis la crise financière, confrontés à cette évidence: avec la décomposition du capitalisme industriel, toutes les institutions sociales, la famille, l’école, la ville, les systèmes de protection et de contrôle social, l’entreprise, la politique elle-même perdent leur sens. (La fin des sociétés – Alain Touraine – 2013)

domenica 2 marzo 2014

Verso modelli post-capitalistici

Alla ricerca di modelli alternativi all'ipercapitalismo per una società più giusta ed equa

Diagostica - I fondamentali: La mega-disuguaglianza economica e sociale del modello capitalistico globalizzato e i suoi EFFETTI


Dopo aver tratteggiato le principali cause della disuguaglianza (vedi post del 9/2/2014), occorre passare a considerare i suoi principali effetti sul sistema sociale.

Come viene trattata la disuguaglianza da parte del pensiero dominante o del mainstream di riferimento?

Se consideriamo il ''World Economic Forum” (Davos) la diseguaglianza viene trattata come RISCHIO:


<<Severe income disparity: Widening gaps between the richest and poorest citizens threaten social and political stability as well as economic development>>1.



Penso che nel redigere questa mappa delle connessioni dei rischi globali il ''World Economic Forum” abbia avuto qualche problema di rappresentazione e di spazio dato che i rischi globali e locali, nelle ultime decadi, si sono moltiplicati e le loro interconnessioni sono diventate sempre più perniciose.

In questa mappa l' income disparity assume una rilevanza di primo piano per le sue importanti connessioni con la stabilità sociale, la disoccupazione, le crisi finanziarie ed economiche, la governance globale e quella locale.

Ma le disparità o disuguaglianze non possono riferirsi semplicemente al livello di distribuzione del reddito, in quanto quelle riguardanti la ricchezza (wealth) sono ancora più esasperate e, anziché parlare di rischio connesso all'income disparity, preferirei parlare di ingiustizia (injustice) dei livelli di disuguaglianza raggiunti con l'attuale iper-capitalismo globalizzato di questo inizio secolo.

Ingiustizia in quanto i suoi effetti sono corrosivi sia per le società sviluppate e per quelle emergenti o in via di sviluppo.

E' evidente che le forme e gli effetti della disparità/disuguagliaza sono molto diversi da paese a paese, abbiamo infatti situazioni molto disparate tra:

  • paesi sviluppati (forse oggi sarebbe meglio definirli “avviluppati”);
  • paesi emergenti (forse oggi meglio definirli emersi);
  • paesi in via di sviluppo;
  • paesi arretrati.
  • ecc.

Ma, nonostante le peculiarità di ciascuno di questi paesi, il tratto che li accomuna sta nella massa crescente di vecchie e nuove forme di disperazione ed esasperazione accanto a consolidate e nuove forme di opulenza ed ostentazione.

Ogni paese ha i propri miserabili e disperati che vivono nelle slums, favelas o nelle micro o mega-mega banlieux - ma anche nell'appartamento della “porta accanto” - che costituiscono le vecchie e nuove mega-prigioni della povertà e dell'emarginazione.
E' proprio la crescente produzione di emarginazione economica, politica e sociale che esprime in modo incontrovertibile gli effetti della grande disuguaglianza sociale e per dirla con Zygmunt Bauman la produzione di “Vite di scarto”:

<<Essere “in esubero” significa essere in soprannumero, non necessari, inutili, indipendentemente dai bisogni e dagli usi che fissano lo standard di ciò che è utile e indispensabile. Gli altri non hanno bisogno di te, possono stare senza di te, e cavarsela altrettanto bene, anzi meglio.(...) Venire dichiarato “in esubero” significa essere stato eliminato per il fatto stesso di essere eliminabile: proprio come la bottiglia di plastica vuota e non rimborsabile o la siringa monouso, un bene privo di attrattiva e senza acquirenti, o un prodotto imperfetto o difettoso, inutilizzabile, che gli addetti al controllo qualità scartano dalla catena di montaggio. (…) La destinazione dei disoccupati, dell'”esercito di riserva del lavoro”, era quella di venire chiamati in servizio attivo. La destinazione dei rifiuti è la discarica, l'immondezzaio. Molto spesso, anzi di solito, le persone dichiarate “in esubero”sono viste soprattutto come un problema finanziario. Occorre “provvedere a loro”, vale a dire sfamarle, vestirle e dar loro alloggio. Da sole non sopravviverebbero. Gli mancano infatti i “mezzi di sopravvivenza”.>>2


E per dirla con la canzone “Le persone inutili” di Paolo Vallesi:


P. Vallesi/B. Dati 

C'è anche un'altra umanità
dietro a sé non lascerà
leggi e monumenti
gente destinata a perdere
e nessuno canterà
i suoi fallimenti.
Uomini in balia
di un Dio e della disallegria
che non li abbandona mai
aghi nei pagliai
nascosti fra i passanti.
Sono le persone inutili
gente che non riesce a vivere
che non mostra i denti e i muscoli
che si arrende prima o poi.
Sono le persone inutili
le più vere le più umili
che non troveremo mai
sui giornali o nei cortei
ma che amano ogni giorno molto più di noi.
E continuano così
rassegnati a dire sì
a tirare avanti
sempre condannati a illudersi
di trovarsi dentro a un film
finalmente amanti.
Uomini in balia
dei sogni e della nostalgia
che non cresceranno mai
nani in mezzo ai guai
col cuore di giganti.
Sono le persone inutili
gente destinata a perdersi
che nell'anima ha troppi lividi
che non si difende più
e si ammala prima o poi.
Perché le persone inutili
sono sole sono fragili
e non prenderanno mai
né medaglie né trofei
ma amano ogni giorno
molto più di noi .
Tutte le persone inutili
vinceranno prima o poi
ma non lo sapranno mai
e nel loro paradiso
non ci andremo noi.>>


L'attuale sistema economico, tecnico e politico ha notevolmente accresciuto la sua capacità di generare “gente di scarto”.

E' infatti dalle modalità di ripartizione della torta che dipende:
  • il livello di povertà che in molti casi si trasforma in miseria nuda e cruda;
  • la possibilità o meno di avere il cibo sufficiente per vivere,
  • la possibilità o meno di avere adeguata istruzione e cure sanitarie;
  • il livello di prestazione e assistenza sociale;
  • il livello di protezione sociale in caso di calamità naturali, perdita del lavoro e disoccupazione;
  • il livello di criminalità più o meno organizzata;
  • il livello di sfruttamento delle risorse umane e naturali;
  • le conseguenze delle crisi economiche (grandi depresioni o recessioni);
  • il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche;
  • la dimensione e direzione dei flussi migratori (di uomini non di uccelli);
  • ecc.  ecc.

Non voglio affermare che le condizioni di vita dell'uomo su questo pianeta dipendano solo dalla distribuzione del reddito e della ricchezza, ma dato che le risorse sono scarse, è di tutta evidenza quanto sia importante il tema dell'ineguaglianza (inequality).

Sull'importanza di questo tema si pronunciano da tempo anche le Nazioni Unite che in occasione del Millennium Summit, nel settembre del 2000, hanno stabilito alcuni principi fondamentali tradotti in altrettanti obiettivi o “Goals”:


<<We consider certain fundamental values to be essential to international relations in the twenty-first century. These include:

Freedom. Men and women have the right to live their lives and raise their children in dignity, free from hunger and from the fear of violence, oppression or injustice. Democratic and participatory governance based on the will of thepeople best assures these rights.

. Equality. No individual and no nation must be denied the opportunity to benefit from development. The equal rights and opportunities of women and men must be assured.

Solidarity. Global challenges must be managed in a way that distributes the costs and burdens fairly in accordance with basic principles of equity andsocial justice. Those who suffer or who benefit least deserve help from those who benefit most.

Tolerance. Human beings must respect one other, in all their diversity of belief, culture and language. Differences within and between societies should be neither feared nor repressed, but cherished as a precious asset of humanity. A culture of peace and dialogue among all civilizations should be actively promoted.

Respect for nature. Prudence must be shown in the management of all living species and natural resources, in accordance with the precepts of sustainable development. Only in this way can the immeasurable riches provided to us by nature be preserved and passed on to our descendants. The current unsustainable patterns of production and consumption must be changed in the interest of our future welfare and that of our descendants.

Shared responsibility. Responsibility for managing worldwide economic and social development, as well as threats to international peace and security, must be shared among the nations of the world and should be exercised multilaterally. As the most universal and most representative organization in the world, the United Nations must play the central role.>>3

Nonostante siano passati tredici anni dal Summit, la strategia di riduzione della povertà e della diseguaglianza appare un ricordo sfuocato dato che l'integrazione dei tre pilastri – “barchette” - rappresentati dalla 1) crescita economica, 2) equità sociale e 3) sostenibilità ambientale sono sbattuti contro l' “iceberg” delle contraddizioni sistemiche del modello della globalizzazione iper-capitalistica.

Antonello B.

1Global risk 2014, ninth editon – World Economic Forum.
2Vite di scarto – Zygmunt Bauman – Editore Laterza (2007)

3United Nations Millennium Declaration – 18 settembre 2000.